(Ulli Breor)
Eternamente innamorati
Quando accade l’amore…
Un giorno interessò anche a noi questa coppietta famosa:
Gli innamorati di Alassio.
Doveva comunque esserci qualcosa se per la festa degli innamorati, San Valentino, gli amanti di tutto il mondo si danno appuntamento qui per conferire una cornice poetica a questo giorno.
Sì… Dovevamo assolutamente visitare questo luogo e così ci avviammo verso Alassio.
Non si deve cercare a lungo poiché il posto è facile da trovare. Si chiede solo “per il muretto” – è il muretto nato nel 1951 da un’idea del pittore Mario Berrino e che ancora oggi attira magicamente i turisti.
Lì sono immortalati da decenni personaggi più o meno famosi e di una certa importanza, dove fanno incollare personalmente piastrelle modellate con il loro autografo.
Ed eccoli là seduti… i nostri amanti di bronzo di Eros Pellini!
Li osservammo a lungo, entrambi i giovani con le ginocchia sbiancate dalle mani di migliaia d’innamorati. Ci sembravano pensosi e trasognati piuttosto che innamorati. Forse pensavano a quanto fosse stato difficile l’inizio e lo sviluppo del loro amore, a tutto ciò che avevano passato e sofferto fino ad essere finalmente felici nell’opera di uno scultore qui ad Alassio e uniti a guardare per sempre il mare, nel caldo sole della Liguria (cosa oggi impossibile a causa delle costruzioni).
Attorno a questi due si avvicenda una storia d’amore – che non potrebbe essere più fiabesca. Anche se non è storicamente provato, è comunque bello crederci – alla fiaba dell’amore tra la figlia dell’imperatore e lo stalliere. Un amore da cui si sarebbero originati la stirpe degli Aleramici e il marchesato di Monferrato.
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Nel frattempo iniziò la vita di Aleramo – forse nell’anno 927 – per nulla promettente. All’epoca, i suoi genitori avevano intrapreso un lungo pellegrinaggio dalla Franconia occidentale fino a Roma. Erano cristiani molto osservanti e si erano sottoposti al lungo viaggio a causa dell’adempimento di un voto.
In quell’occasione erano arrivati fino a Sezze, l’odierna Sezzadio, in Piemonte, dove nacque Aleramo. In quanto bambino, i suoi genitori lo lasciarono lì per risparmiargli le fatiche del pellegrinaggio.
Sicuramente con l’intenzione di riprenderlo!
Alla fine rimase lì come orfano. Sembra, infatti, che i suoi genitori morirono a Roma. Il ragazzo fu cresciuto in convento e divenne un giovane robusto. Scoprì molto presto l’amore per i cavalli e così divenne un bravo stalliere. Poiché era sempre stato coraggioso ed intraprendente, egli spinse la ricerca di un lavoro persine fino nelle vicinanze dell’odierna Emilia Romagna.
Quando, un giorno, l’imperatore Otto assediò Brescia, ordinò ai comuni nei dintorni di inviare dei soldati da mettere a sua disposizione. Così, tutti i giovani, compreso Aleramo, furono assoldati all’esercito dell’Imperatore. Se la cavò bene. Imparò in fretta la lingua del conquistatore.
Naturalmente fu assegnato alla cavalleria e, per le sue straordinarie capacità, presto divenne l’assistente personale del cavallo dell’imperatore.
Con il tempo conobbe molte personalità di una certa importanza tra le alte cariche, ma ciò non lo impressionò particolarmente – all’inizio nemmeno questa ragazza graziosa, giovane e nobile che veniva tutti i giorni da lui a prendersi il cavallo bianco per una passeggiata e gli gettava sguardi timidi. Non aveva mai parlato con lei, poiché aveva sempre paggi o cameriere al seguito, ma aveva già sentito una volta il suo nome. Si chiamava Adelaide.
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Il tempo passava. Un giorno Aleramo notò che i suoi sentimenti per questa ragazza stavano cambiando, poiché ora si rallegrava improvvisamente ogni mattina quando la incontrava. Forse riuscì a catturare un suo sguardo di risposta! Presto fu del tutto sicuro che anche i suoi sguardi fossero ricambiati. Un mattino accadde l’incredibile! Quando le porse le redini del cavallo, le loro mani si sfiorarono. S’irrigidì completamente e poi s’infiammò come il fuoco nel camino. Lo sguardo di Adelaide sorresse per un’eternità quello di Aleramo. Accadde proprio così! Da quel momento in poi, il fuoco dell’amore bruciò dentro di lui, violento ed impetuoso. Le sue notti erano insonni e bramava il mattino successivo. Se non la vedeva arrivare, soffriva immensamente. Ad un certo punto, anche gli altri notarono il cambiamento nel suo carattere. Piero, il vecchio stalliere, lo prese un giorno in disparte. Aveva ben notato che Aleramo faceva il cascamorto con la giovane signorina Adelaide. Se aveva perso il senno, allora non sapeva proprio chi fosse. Le parole “è la figlia dell’imperatore” lo trafissero da parte a parte. Per lui, uno stalliere, la figlia dell’imperatore era irraggiungibile! Era la fine dell’amore appena sorto. Voleva uccidersi con la spada oppure…
Negli scontri successivi vicino a Brescia, Aleramo fu uno dei più impavidi, poiché il suo amore non significava più nulla per lui. Cercò di evitare Adelaie e, se la incontrava nella stalla, non si fidava più a guardarla negli occhi.
Ma poi accadde la meraviglia! Una sera, dopo aver dissellato il cavallo che Adelaide gli aveva affidato, cadde a terra una piccola pergamena. La raccolse e lesse: “Stasera alle ore 11 alla vecchia carbonaia”. I pensieri si susseguirono rapidamente e il cuore batté all’impazzata. Aveva cercato di soffocare l’amore, ma ora era di nuovo lì. Non c’era più ritorno!
Le ore non volevano trascorrere. Poi sgattaiolò nell’oscurità. Si nascose in un cespuglio vicino alla capanna decaduta ed aspettò. Il tempo era infinito e la paura di essere scoperto lo assalì completamente. Là al margine del bosco vide guizzare un’ombra. Poteva essere solo lei. Oppure no? La paura era grande, ma l’amore era un gigante. Anche sotto quel cappuccio scuro riconobbe subito il suo viso grazioso. Un sentimento d’immensa felicità s’impadronì di lui e le corse incontro più veloce che poté. Era davvero la tortura della privazione infinita che li spinse uno nelle braccia dell’altra. Infine, lacrime di felicità corsero sulle loro guance. Non restava molto tempo per quella sera. Dovettero separarsi in fretta, poiché entrambi avevano paura che si scoprisse la loro assenza e che si mandasse qualcuno a cercarli.
Vennero continuamente fissati punti d’incontro segreti.. L’amore di entrambi cresceva di giorno in giorno, finché non fu presa la decisione di fuggire.
Questa era davvero la più grande prova d’amore che entrambi potessero fare, ma questo piano era così pericoloso!
Se fosse stato scoperto in anticipo, Aleramo ci avrebbe rimesso la vita e Adelaide avrebbe dovuto passare tutta la vita in un convento.
Così ad un certo punto decisero di sgattaiolare via: una figlia dell’imperatore abbandonava con il suo stalliere i dintorni di Brescia con dei cavalli rubati e solo ciò che potevano portare addosso, in direzione sud, verso Alessandria, dove lì vicino c’era Sezze, la città natale di Alerano. Lì potevano aspettarsi aiuto dagli amici e magari trovare pure protezione nel convento dove Aleramo era cresciuto. Ma già dopo poco tempo dovettero andare oltre, poiché l’imperatore stava cercando in tutti modi di ritrovare sua figlia.
Gli amanti si decisero quindi di andare ancora più a sud, nelle alpi liguri, attraversando i territori di Asti e Alba. Lì, tra le valli e le foreste, nessuno li avrebbe più potuti trovare.
Infatti – dopo molti mesi – le loro tracce erano scomparse. Le montagne si potevano attraversare solo a fatica e così un giorno le truppe di ricerca si arresero.
Nel frattempo, Aleramo e Adelaide si erano costruiti una capanna in una valle isolata e aveva iniziato a costruire una carbonaia. Si guadagnavano sul commercio del carbone di legna che vendevano nei villaggi limitrofi, così come nel piccolo paese di Alassio. Da quel momento in poi, la carbonaia era il sostentamento di entrambi, della figlia dell’imperatore e dello stalliere. Vissero lì in solitudine per molti anni ed ebbero insieme quattro figli.
Di solito, i protagonisti di belle storie d’amore del genere vivono felici e contenti fino alla fine dei loro giorni: ma il destino doveva letteralmente mettere la corona sul capo dei nostri, perché…
Mentre conducevano soddisfatti una vita felice con i loro figli, il
padre di Adelaide, l’imperatore Otto, cominciò ancora una volta una guerra con Brescia. Perciò gli servirono nuovamente soldati per il suo esercito, i quali dovettero essere reclutati tra la popolazione.
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Ora, Brescia è molto lontana dalle Alpi Liguri, ma l’imperatore aveva alleati – come il vescovo di Savona. E così, questo lo aiutò con il reclutamento di soldati. In questo modo, Aleramo e il suo primogenito finirono nell’esercito del vescovo e ,di conseguenza, di nuovo nell’esercito di Otto I.
Questa volta fu il figlio di Aleramo a decidere in modo determinante il destino della famiglia. Ovvero, combatté in modo così audace e valoroso che si fece notare dall’imperatore. Si fecero dunque delle ricerche. Alla fine fu comunicato all’imperatore che si trattava del figlio di una certa Adelaide… e questo coraggioso, giovane soldato era suo nipote.
È sorprendente ciò che accadde nel cuore paterno del potente imperatore? Perdonò l’amata figlia Adelaide, che pensava fosse morta, e riconobbe Aleramo come suo genero. Regalò alla famiglia tutto il territorio compreso tra Torino e Genova – tra le Alpi Marine e il Po – come marchesato. Da questo nacque il marchesato di Monferrato con la famiglia dominante degli Aleramici.
Questa storia potrebbe essere indicata come una fantasia infondata, come una vera favola, ma ha uno sfondo storico.
Il comune di Alassio ebbe l’idea di raccogliere la storia e di commercializzarla: un artista fu ispirato dalla leggenda e fece un’impressionante scultura.
Le persone che vengono qui credono alla forza dell’amore che vince su tutto e che rende possibile l’impossibile.
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(Ulrich Peine)
Gênes – il brevetto 139.121 !
Martedì 20 maggio dell’anno 1873 di nostro Signore, ci fu davvero qualcosa da festeggiare! Levi Strauss aveva portato per l’occasione una bottiglia dell’”Originale spumante di Genova” nell` officina di Jacob.
Da oggi entrambi ,lui e Jacob Davis,erano i portatori del brevetto 139.121!
Ovviamente, a quell ’epoca aveva immediatamente accettato l’affare: lui aveva i soldi e Jacob la soluzione!
Aveva dovuto investire una somma quasi ridicola!
Grazie a Dio, Jacob non era un commerciante come lui che poteva fiutare un buon affare a miglia di distanza e controvento.
Jacob Davis era un sarto – e non aveva abbastanza soldi! Nemmeno quei pochi soldi per proteggere la sua invenzione da emulatori e dalla concorrenza.
Levi Strauss conosceva Jacob già da anni. Il suo commercio all’ingrosso non riforniva soltanto la sartoria di Jacob, ma anche molti altri atelier centro-occidentali con tessuti e mercerie, le quali erano necessarie per la produzione delle tute da lavoro per i cercatori d’oro e per gli operai della nuova linea ferroviaria “Central Pacific Railroad”: la gente aveva bisogno di camice e pantaloni robusti, economici e che avessero una certa resistenza.
La sua fabbrica “Levi Strauß & Co.” importava la stoffa ideale già da anni dall’Europa, più precisamente da Genova, dove la grossolana tela olona era già da secoli il materiale ideale per gli abiti dei marinai e dei contadini del Levante. Perciò, questa stoffa da “Genes”, pronuncia inglesizzata del francese Gȇnes, Genova, era richiesta anche all’estero da molte sartorie in California.
La sartoria di Jacob Davis era una delle migliori.
Al contrario di molti suoi concorrenti, i quali producevano sempre in conformità con lo stesso metodo conosciuto, Jacob aveva cercato di migliorare continuamente la sua merce. Aveva irrobustito il filo per cucire e aveva aggiunto più tasche ai pantaloni.
A questo problema, Jacob trovò infine la soluzione geniale: rinforzò anche le cuciture dei pantaloni e delle camicie con dei rivetti in metallo, i quali erano già usati dai fattori locali per serrare i sacchi di cotone. I suoi “Genes” divennero un campione di vendita.
Purtroppo, però, la concorrenza non dorme, tanto meno in America!
Così, alcune sartorie avevano già copiato l’invenzione e avevano pure prodotto questi pantaloni con i rivetti!
Jacob Davis sapeva già come avrebbe potuto proteggere la sua invenzione: con un brevetto a San Francisco. Ma servivano i soldi!
Ma, ancora una volta, non ce n’erano. Che cosa fare?
Ed ecco che entrò in gioco lui, Levi Strauss! Grazie a Dio, Jacob si era rivolto a lui in quanto buon cliente. Naturalmente, lui non si era lasciato scappare l’occasione. Per lui fu facile dargli i 68 dollari per il brevetto del “Rivettamento delle tute da lavoro”. Solo 68 dollari!
Certo, nella vita tutto ha un prezzo!
Così avrebbe preso parte alla produzione dei Jeans – nel frattempo il nome fu americanizzato in questo modo – in qualità di compossessore del brevetto.
Arrivò dunque il giorno: con la diligenza, dall’ufficio brevetti arrivò il documento dell’invenzione con il numero 139.121.
„A noi, Jacob, salute!“ disse Levi Strauss.
La marcia trionfale dei “Genes” da Genova attraversogli Stati uniti in tutto il mondo era appena iniziata.
Non sempre i veri eroi raccolgono anche la più grande fama!
Tutti pensano a Levi Strauss se si parla di “Levi’s” o di “blue (genes) Jeans”.
Ma questo onore spetta innanzitutto a Jacob Davis!
Qualcuno doveva pur dirlo!
(Ulli Breor)
Il trauma di Biaggio
Biaggio Verando Cagna sale lentamente le strade di Triora, il suo paese natale. Con i suoi 85 anni gli è sempre più difficile arrampicarsi dalla sua cantina su per i gradini della Via del Ponte fino a casa. E con questa neve, poi! È di nuovo un inverno particolarmente rigido, un inverno così duro come quello del 1587, un inverno che ha cambiato tutto! “Basta con questi pensieri”, mormora tra sé.
Nonostante gli affanni della sua veneranda età e gli spaventosi ricordi, il vecchio Biaggio non ci ha ancora rimesso la voglia di vivere. Pregusta la sera davanti al fuoco scoppiettante con una grossa tazza di tè. Naturalmente, da ex farmacista del luogo, ha assortito la miscela di erbe da solo, usando una delle sue ricette speciali. Sì, sì, le sue erbe ristoreranno le sue forze indebolite anche in questo inverno!
Ora, contro i segni della vecchiaia delle persone, aveva sempre potuto fare qualcosa, ma c’erano cose contro cui non era cresciuta nessuna erba – niente poteva cacciare i ricordi di quegli eventi spaventosi.
Poteva fare ciò che voleva.
Arrivato nella sua piccola casa, Biaggio provvede alle deboli braci nel camino. Le fiamme consumano il legno lì disposto, si espandono, si innalzano sempre di più. Ed eccole, di nuovo, le immagini spaventose. Sente gente gridare, vede pozze di sangue sul suolo della piazza e sente l’odore di carne bruciata.
Le grida disperate d’aiuto non lo lasciano in pace. Piange amaramente. Da 45 anni si porta dietro questo trauma.
“Sì, è proprio così”, dice Biaggio tra i singhiozzi “solo pochi si ricordano ancora di ciò che è successo allora. E chi ancora sa qualcosa, non ne parla più.”
In queste ore, al vecchio uomo ritorna in mente tutto. I suoi pensieri si susseguono, ancora e ancora!
Al tempo aveva 40 anni. Stava bene nel suo paese. La sua piccola farmacia riusciva a sfamarlo, tanto più che aveva anche un giardino di erbe e verdure. Andavano tutti da lui con i loro malanni, ferite e anche malattie serie! Anche se di rado le riconosceva tutte. Era pure una persona particolare, senza mogli e figli, in particolare con questa idea fissa delle proprietà curative delle erbe! Aveva anche portato delle opinioni singolari sui Paesi lontani quando era tornato nella piccola cittadina dal Levante. Per questo aveva spesso discusso animatamente con il parroco. Ma le sue erbe mediche curavano molte malattie e così vennero i paesani di Triora e dintorni. Fino a quel giorno!
All’epoca gli inverni erano diventati improvvisamente terribili, molto più rigidi del solito e anche notevolmente più lunghi. Così almeno pareva a tutti. Un freddo così incessante non l’avevano vissuto nemmeno loro.
Ma ancora più spaventosa era la fame. All’inizio aveva colpito solo i poveri, ma sempre più gente benestante doveva soffrirne.
Le estati erano diventate fredde e umide, cosicché molte spighe di grano erano marcite già sullo stelo. Andava avanti così già da anni. Il pane era cresciuto a prezzi esorbitanti e per molti comprare la carne era impensabile! Oltre a ciò, nell’anno del Signore 1579 anche la peste era scoppiata. Ovviamente, era diventato necessario che le forze dell’ordine ordinassero a tutti i paesi di sorvegliare le strade, affinché nessuno straniero potesse portare la malattia mortale. L’intrusione dell’epidemia doveva assolutamente essere impedita in qualunque caso! Nessuno straniero poteva anche solo avvicinarsi ai dintorni dei paesi e delle cittadine.
Questo aveva reso quasi impossibile il commercio alimentare. Le provviste vennero consumate. Persino gli ultimi animali da tiro vennero macellati. La fame era insopportabile e la gente soffriva. Si mangiava di tutto: carne marcia e pesce imputridito, erba cotta, topi così come cani e gatti. Si arrivò alla malattia con febbre alta e terribili macchie di sangue. La mortalità infantile crebbe incredibilmente. In questo clima del bisogno più assoluto, prosperavano naturalmente la superstizione e la discordia. Chi era responsabile di questa misera? Dio aveva girato le spalle agli uomini? Oppure c’erano in gioco le forze oscure? Dov’erano nel villaggio questi poteri sciagurati? Il sospetto tra gli abitanti del villaggio crebbe, nessuno si fidava più degli altri.
Da lui non giungevano bisognosi d’aiuto da qualche tempo. Perché? Ora si mormorava delle sue misture di erbe ed essenze misteriose. Se era stato in Oriente –dai Musulmani! Chi sapeva se non mischiasse escrementi e parti di corpo nelle sue tinture. Per loro, gli amici dei Musulmani erano senz’altro capaci di una cosa del genere! In molti la pensavano così! E Biaggio aveva già litigato con il medico del villaggio, Lucillo, perché l’aveva accusato di ciarlataneria. Proprio lui!
Il vecchio mette un altro pezzo di legno nel fuoco. Il calore gli fa bene. Ricorda che il clima ostile non si era diretto solo contro di lui.
Nel frattempo, c’era anche questo piccolo gruppo di donne che era caduto nella mira di alcuni uomini: ogni giorno queste megere si incontravano al lavatoio e chiacchieravano in modo così misterioso. La sciagura doveva venire da lì! La gente cercava le ragioni della loro miseria! Pretendevano dai capi del villaggio delle informazioni chiare e delle soluzioni per il male e questi subirono una pressione sempre maggiore a causa della propria ignoranza. Biaggio lo sapeva. Alla fine aveva visto come il capo della comunità, Stefano Carrera, che di solito si comportava in modo così scaltro, aveva evitato alcune tormentose domande della popolazione. Non poteva continuare per molto!
Si, doveva esserci la stregoneria di mezzo! Per di più, Stefano Carrera aveva sollecitato la Santa Inquisizione di Genova per avere assistenza.
Biaggio rabbrividisce a questo ricordo e mette un altro ramo nodoso nella brace.
Genova inviò immediatamente il prete Giorlano del Pozzo, il quale arrivò a Triora nel novembre del 1587, dopo una settimana di viaggio. Anche Biaggio era in chiesa quando, già alla messa della prima domenica, il prete tuonò con parole dure contro tutta la depravazione e lo scetticismo. La miseria esistente e persino quella dei tempi passati venne definita una punizione di Dio.
Calò il silenzio nella casa di Dio e la gente guardò intimidita a terra quando del Pozzo condannò apertamente l’eresia, la fornicazione e la stregoneria che si erano palesemente diffuse anche lì, nella piccola città di Triora. Non potevano esserci altre ragioni per cui Dio aveva punito la popolazione in modo così crudele. Tutti erano obbligati a fare rapporto su qualsiasi avvenimento insolito e sospetto!
D’un tratto, l’uno o l’altro si ricordò di aver osservato stranezze presso questa o quell’altra persona e possibili atti curiosi presso quella o questa.
Così, il fabbro Carmelo si chiese se la domenica precedente non avesse visto la Mazurella sputare nell’acquasantiera mentre lasciava la chiesa.
Oppure la Rosella! Questa poteva giurare che suo marito era stato stregato da quella puttana di Maria. In effetti, da un po’ di tempo era diventato così incurante con lei.
Ognuno trovò negli abissi della propria anima una persona che disprezzava, che invidiava o di cui era geloso. E così i semi di quella predica trovarono un terreno fertile.
Dopo la messa, la gente lasciò abbattuta la chiesa senza salutare.
Nella piazza della chiesa, la comunità si disperse in fretta e scomparve nelle vie del villaggio. Biaggio poteva ancora ricordarsi bene di aver scambiato qualche parola con la signora Stella, la quale gli aveva parlato mentre uscivano dalla chiesa. Era una dei pochi abitanti di Triora che erano ancora in contatto con lui. Forse perché faceva parte della più distinta, colta e benestante parte della popolazione, aveva conservato sia i soldi per le medicine che la tolleranza per la sua persona e per la sua condotta di vita. A Biaggio piaceva. Non era comunque più in contatto con la cerchia della Signora. Preferiva restare solo e con i suoi studi di botanica.
Biaggio beve un bel sorso dalla tazza. Si ricorda.
La signora Stella era sua paziente già da molto tempo. Di nascosto, perché il dottor Lucillo – forse anche a vantaggio proprio – non voleva perdere i malati per un “ciarlatano” del genere, in particolare quelli altolocati e benestanti.
Biaggio sorride compiaciuto: ovviamente, all’epoca molti bisognosi benestanti andavano sempre in primo luogo da lui. E non da questo fanfarone Lucillo! Così come la signora Stella!
„Il tè fa bene“, pensa.
La signora Stella soffriva di micosi agli arti e per questo, sulla piazza della chiesa, l’aveva pregato bisbigliando di prepararle ancora una volta quell’unguento lenitivo contro i dolori alle articolazioni. Proseguirono allora giù per la stradina, diretta verso casa. Lì conversarono sulla predica appena ascoltata. La signora Stella condivideva i timori di Biaggio, che l’invito a denunciare avrebbe potuto avere conseguenze disastrose: fintantoché le malattie e gli eventi naturali fossero considerati come punizioni divine, dovevano esserci anche degli uomini che l’avevano provocato.
Ma lui, Biaggio, aveva scoperto altre connessioni con le sue acute osservazioni: quali effetti avevano le condizioni di vita catastrofiche tra i più poveri dei poveri? Laggiù al villaggio si viveva a stretto contatto – senza acqua fresca- sotto un tetto con molti parenti, il bestiame e i ratti. Nella strada dei macellai c’era un odore bestiale di carne putrida. I resti di sangue e bava colavano per terra e l’acqua potabile veniva dalla fontana posta proprio lì vicino! Ma di ciò era proibito parlare e soprattutto non si poteva dubitare delle parole della Chiesa.
A tale riguardo, Biaggio e la signora Stella erano molto accorti a non venir visti o ascoltati da nessuno. Per questo il tegamino con l’unguento fu passato in fretta nelle mani della signora – nel momento in cui si sentì cigolare un’asse al secondo piano della casa. Che qualcuno li avesse ascoltati e osservati di nascosto? Biaggio non era andato subito a vedere. Questo era stato forse uno dei più grandi errori della sua vita
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Il vecchio beve un altro sorso del suo delizioso tè alle erbe. Ma nemmeno quello scaccia il suo senso di colpa. Se soltanto fosse andato a vedere! Ma non aveva pensato che l’anima del popolo fosse già così avvelenata.
Il giorno seguente sarebbe cominciato un periodo di terrore e crudeltà, che nessuno avrebbe mai potuto immaginarsi nemmeno nei sogni più terribili. Questo periodo avrebbe diviso amanti, distrutto famiglie e cancellato amicizie. Sarebbe diventato il tempo più raccapricciante del villaggio e dell’intera regione.
Era uscito già il mattino presto per raccogliere erbe e per cercare un po‘ di legno. Siccome Biaggio voleva andare nel boschetto di ulivi, dovette passare per il villaggio.
Era sorprendente che già così tanta gente andasse in chiesa e a messa oppure che aspettasse sulla piazza. I più sembravano intimiditi.
A mezzogiorno si vide il giudice girare per il villaggio in compagnia del prete del Pozzo e alcuni sbirri: dopo poco già venti donne furono arrestate e presto divennero quaranta, perché anche nei villaggi vicini erano state denunciate la magia e la stregoneria. Naturalmente, il carcere non era preparato ad accogliere così tante persone e così, senza esitare, lo divennero le case private, le cui cantine e i cui solai furono trasformati in prigioni. Una di queste case era la Ca’ de Baggiure.
L’intero villaggio era in fermento e si sparlò e bisbigliò molto. Tutti avevano visto o sentito qualcosa. Ma con la paura si sentiva anche il sollievo perché finalmente era successo qualcosa! In fondo, così non si poteva andare avanti! Il sottoprefetto Garlindo disse grandi parole, che era molto felice che finalmente si fosse intervenuti con severità. L’aveva sempre saputo che là, alla fontana, gatta ci covava. Aveva osservato personalmente con attenzione la moglie del barbiere, la vecchia mendicante Franca, la sorella del macellaio e ancora altri due soggetti femminili, come si fossero date sicuramente appuntamento per una stregoneria. Difatti, qualcuno aveva visto la Francesca cavalcare una scopa verso mezzanotte. La vecchia Franca aveva uno sguardo truce, lo sapevano tutti. Che poi la bella Mazurella fornicasse con il diavolo era ben risaputo. Aveva pure un fidanzato così a modo!
Biaggio attizza il fuoco nel camino. Sì, allora era stato così.
Lui era stato lì!
Tra gli altri accusati c’erano anche quattro giovani ragazze ed un bambino. Persino i membri delle famiglie influenti e i nobili stessi furono denunciati e trascinati via. Odio, invidia e gelosia fecero il resto nei mesi successivi. Così, molti scomparvero nelle segrete e nelle cantine.
Biaggio si ricorda con estrema vergogna che anche lui si era tenuto lontano da questi luoghi a causa della micidiale paura per l’Inquisizione.
Tuttavia, un giorno dovette passare per la casa del bottaio Alfredo. Di rado c’era silenzio a casa sua. Biaggio percepiva soltanto gemere e piagnucolare da dietro la porta dell’officina. Che cosa stava succedendo? Gli salì un raro sentimento di curiosità a paura, quindi si avvicinò. Ora poté riconoscere la voce sonora del prete del Pozzo. Ma cosa stava dicendo? Sentiva parti di discorsi da preghiere, suppliche, ma anche offese ed insulti. C’erano anche gemiti e lamenti. Attraverso una fessura nella porta, Biaggio poté vedere ciò che lo lasciò sgomento – una donna appena coperta da una camicia, incatenata alle mani e ai piedi. L’avevano tirata su con una corda, cosicché i piedi sfiorassero appena il terreno. Lì vicino c’era uno sbirro con una verga e frustava quella povera anima. In quel momento un raggio di luce cadde sul viso della donna e Biaggio indietreggiò spaventato. No, no… Non poteva essere vero! La signora Stella! La camicia della povera donna era già strappata sulla schiena ed era macchiata di sangue. I capelli le pendevano in disordine sul viso. Biaggio fissò la vittima, pietrificato e sbalordito. Si spaventò terribilmente quando fu percossa da un altro colpo. La signora mandò un gemito straziante. Cosa si poteva averle rimproverato? Tutti sapevano che conduceva una vita onesta. La paura s’impadronì di lui e senti il prete gridare di nuovo: “Confessa, confessa, peccatrice, che hai fornicato con il farmacista e hai così ottenuto in regalo l’unguento del Diavolo!”
Era un incubo. Biaggio corse via, spinto dal terrore. La paura della cattura prese possesso di lui.
Già poco tempo dopo –così si disse in seguito – si videro due soldati del governo genovese portare il medico del villaggio, Lucillo, a casa del bottaio. Che i provvedimenti medici fossero inutili fu chiaro quando i due soldati trascinarono un sacco di lino fuori dalla casa e lo gettarono sul carro di uno sgherro accorso lì. Questi scomparve immediatamente, ma fu notato come svoltò, fuori dal villaggio, in una parte del bosco fuori mano. Lì venivano da sempre sotterrati i suicidi e i lebbrosi. Ora lì vicino giacevano anche le donne morte. Biaggio doveva averne la certezza. Dov’era la signora Stella?
Come un ladro coperto da una cappa nera, s’incamminò di sera. Sgattaiolò fuori dal villaggio passando per vie buie, con la costante paura di essere scoperto. Così – senza essere visto – uscì dal villaggio. Ora doveva solo trovare la strada nel bosco. Di giorno non era un problema, ma quella notte era buio pesto. Incespicò su rocce e rami caduti. Una volta scivolò addirittura nel canale di scolo, ma poi giunse in quel luogo raccapricciante. Poteva vedere indistintamente le fosse scavate. Ora si trattava soltanto di mantenere i nervi saldi. Si sentiva il cuore in gola. Si lasciò scivolare giù nella fossa e vide il sacco che prendeva palesemente i contorni di un corpo umano. Ci avevano gia` gettato della calce. Baggio cercò nelle tasche il coltello che si era portato dietro e squarciò il tessuto grossolano lì dove presumeva ci fosse la testa. Aprì con attenzione la fenditura e tirò in disparte la stoffa. Vide il volto pallido, gonfio di una donna. Sebbene fosse stato fortemente deturpato dalla tortura, poteva riconoscere i lineamenti della signora Stella. In quel momento lo assalì la tristezza e pianse lacrime amare.
Corse a casa vi rimase per tutto il giorno – sempre con il timore di essere arrestato anche lui. Nessuno parlò della scomparsa della signora. Biaggio aveva sì cercato di parlare al medico del villaggio, Lucillo, il quale era stato presente almeno per un certo tempo nella casa del bottaio durante la dura escussione. Lucillo sosteneva di non esserci stato! Nessuno sembrava saperne qualcosa! Nessuno voleva attaccare briga con l’Inquisizione!
Alla fine di Marzo accadde un altro incidente nella piazza del villaggio, proprio sotto Ca’ de Baggiure. Al mattino presto, i residenti delle case di fronte sentirono urla e strepitii. Poi si sentì il rumore di finestre infrante e un colpo sordo. La gente accorse immediatamente. Sul lastricato della piazza si vide il corpo senza vita di una donna, intorno alla sua testa si era già formata una pozza di sangue. Si sapeva che la donna morta era Antonella. Era stata la cuoca del parroco prima che venisse accusata di stregoneria e deportata. La gente lì affollata fu cacciata via, affinché gli sgherri dell’Inquisizione potessero riportare il cadavere della donna in casa. Per alcuni era chiaro che Antonella si fosse gettata dalla finestra. Oppure era stata spinta?
Biaggio si vergogna di nuovo al pensiero della giovane. Neanche lui aveva fatto niente! E quest’orribile pratica continuò. Si ricorda del destino dei suoi vicini.
Alla fine di Marzo del 1588 sentì improvvisante bussare alla porta. Si spaventò a morte. “Ora prendono anche me” ,fu il suo primo pensiero. „Chi è là?“ gridò. “Ma sono io, Pino!“ sentì. Biaggio riconobbe la voce del suo vicino e lo fece entrare. Questi tremava in tutto il corpo. Aveva un aspetto così miserevole. Pino gli cadde davanti in ginocchio. Gli parlava balbettando confusamente tra i continui singhiozzi: avevano brutalmente strappato sua figlia da casa e l’avevano accusata di stregoneria. L’avevano portata via e Pino non sapeva dove fossero andati con la sua bambina. Sua moglie era caduta nell’isteria. Ora diverse donne del vicinato si stavano prendendo cura di lei. In un primo momento, Biaggio riuscì a calmare il poveretto solo con un forse sorso di valeriana, ma gli promise che il giorno dopo si sarebbe informato sul luogo in cui si trovava la figlia.
Il giorno dopo erano quindi andati insieme al municipio. Tuttavia, lì non si era pronti a comunicare loro notizie. Entrambi i vicini cercarono anche di spingersi dal sindaco, ma naturalmente non era raggiungibile.
Alla sera, Biaggio incontrò per caso il segretario comunale, Greco, che si stava dirigendo alla sua Cantina. Con lui c’era anche l’avvocato Benini. Discutevano animatamente tra di loro, avevano pure già bevuto qualche bicchiere di vino. A causa della malnutrizione, il rosso aveva già mostrato il suo effetto!
Siccome Baggio era ben familiare con entrambi, essendo un uomo rispettato, il segretario e l’avvocato furono lieti che si sedesse con loro. Come dappertutto, anche i loro discorsi avevano un unico tema: nessuno aveva creduto possibile che i recenti avvenimenti avrebbero preso tali proporzioni. Molti abitanti si rivolgevano afflitti e disperati ai rappresentanti della comunità per ricevere aiuto.
La pressione era diventata particolarmente forte quando sempre più nobili e stimati cittadini si trovavano tra i denunciati. Alcuni rappresentanti avevano già fatto marcia indietro. Non ci si voleva invischiare con quello sviluppo. L’avvocato era evidentemente sbigottito dal fatto che, tra le imputate, ci fossero molte ragazze tra gli 11 e i 13 anni.
Diverse famiglie benestanti avevano già preso contatti con il governo di Genova e pregavano per un’influenza ridotta. La situazione era sfuggita di mano!
Dopo un altro bicchiere, Biaggio venne a sapere –naturalmente detto in confidenza – che un altro Inquisitore stava arrivando da Genova. Questi avrebbe dovuto sostituire il prete presente e gettare luce in quella confusa situazione. Fu anche già dato il nome del nuovo inquisitore. Si aspettava per giugno l’arrivo di Giulio Scribani. Inoltre, si sperava che avrebbe sostenuto il moderato inquisitore generale Alberto Drago, residente in città già da maggio, contro i fanatici di del Pozzo. Drago si preoccupava onestamente già da un po’ di tempo di liberare quanto meni i giovani dal carcere.
Si voleva tornare ad una vita normale perché nei mesi la paura e la sfiducia si erano diffuse ed avevano avvelenato la comunità. Non si celebravano più feste. Le risate felici dei bambini nelle strade e il cicaleccio delle donne al lavatoio erano ammutoliti.
Biaggio si sente di colpo molto stanco. Chiude gli occhi, ma si ricorda molto bene che avvenne la svolta.
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Un giorno caldo secco di aprile si poteva percepire una grande agitazione. La gente del villaggio si riunì in piazza. Era stato reso noto che 13 donne accusate sarebbero state trasferite nelle carceri di Genova. Erano terribili notizie, perché si sapeva che chi scompariva nella torre Grimaldi non sarebbe più stato visto. C’erano le voci più selvagge a riguardo, che i prigionieri morivano di fame, per i maltrattamenti oppure che contraevano la lebbra e che il corpo marciva mentre era ancora in vita.
Quel giorno erano già pronti carri con i buoi diretti che sarebbero stati usati per il trasporto a Genova. Da tutti gli angoli del paese vennero portate con forza donne in catene, prese dalle carceri delle cantine e dei solai. Erano tutte più morte che vive, in uno stato deplorevole, tutte pesantemente torturate, macchiate di sangue e sporche in maniera indicibile. Le loro stesse feci e il vomito erano appiccicati ai vestiti e imbrattavano i capelli. Puzzavano come bestie e alcune non riuscivano nemmeno a reggersi in piedi da sole – gli arti rotti, i visi deformati dalla tortura, l’intero corpo vessato dalla “frusta a sette code” che era stata usata dai torturatori dell’Inquisizione.
Ma in quel momento terribile si vide come fosse rimasta ancora una scintilla di misericordia nei cuori degli abitanti di Triora. Alcuni giovani si affrettarono ed aiutarono i poveri vessati nel loro cammino difficoltoso. Non potevano aiutarli davvero, perché vennero immediatamente respinti dagli uomini armati.
Tra gli insulti, le bestemmie, così come i colpi inferti con i bastoni nodosi, le povere anime furono portate ai carri e gettatevi sopra come bestie. Si dovette fare velocemente per non agitare ulteriormente la popolazione.
Nel corso del trasferimento, si arrivò ad una scena drammatica: Carlo, il barbiere, riconobbe sua moglie in mezzo a quella processione. Come impazzito, tra le grida e i lamenti, si fece largo tra la folla.
Ma venne fermato brutalmente dagli uomini armati e gettato a terra. Sua moglie lanciò un urlo straziante verso di lui, ma fu trascinata al carro per i capelli e gettata lì violentemente.
Della bella Francessina era rimasto soltanto un mucchietto di miseria. Anche lei era stata torturata, completamente estenuata e, con i suoi 25 anni, sembrava già una vecchia.
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Quando furono tutti imbarcati, quel miserevole corteo si mise in marcia. All’inizio si sentirono ancora le ruote dei carri sull’acciottolato e il muggire dei buoi sotto i colpi di frusta dei conducenti. Poi si fece sempre più calmo, finché non rimase un silenzio di tomba. Non si parlò più tanto, alcuni piangevano e la folle dei curiosi si sciolse lentamente.
Il barbiere giaceva svenuto sul lastricato. Alcuni giovani si presero cura di lui e lo trascinarono a casa. Qualche giorno dopo, Biaggio volle fargli visita a casa, ma la trovò vuota. I vicini lo informarono che non lo si era più visto in piazza dopo quel giorno terribile. Quella volta lo si era messo a letto e ci si era presi cura di lui per quanto possibile. Da quel momento non fu più visto. Era semplicemente sparito!
A giugno dell’anno 1588, durante una domenica memorabile, accadde all’improvviso. L’inquisitore Scribani arrivò con il suo seguito e diversi uomini armati. Lo si era sperato! Ma era come se gli uccelli avessero smesso di cantare in una bella giornata d’estate!
Nessuno sapeva ancora cosa sarebbe accaduto e come si sarebbe comportato questo funzionario. Siccome l’inquisitore generale Drago era riuscito a salvare poco tempo prima alcune ragazzine dagli artigli del fanatico prete, ora si sperava in una distensione generale del clima surriscaldato.
Le ragazze se la cavarono a buon mercato: furono soltanto condannate ad abiurare. Naturalmente lo fecero subito e poterono ritornare alle loro famiglie. Ma l’esperienza della tortura e del supplizio aveva fatto scomparire per sempre il sorriso dai loro volti.
Presto si ebbero notizie del nuovo inquisitore. A dispetto di tutte le speranze, la situazione prese ancora una volta una svolta che nessuno aveva nemmeno lontanamente previsto.
Scribani scatenò un inferno ancora più terribile del suo predecessore. Nello stesso tempo si atteggiò in maniera incredibilmente fanatica. Diffuse il clima dell’odio religioso e della persecuzione anche a Balducco, Montalto e nei paesi isolati di Realdo e Verdeggio, spingendosi persino a Sanremo.
Iniziarono nuovi interrogatori e nuove torture.
Era diventato spaventoso. Continuò ancora a lungo. Lui era sopravvissuto, ma il ricordo dell’accaduto di quel tempo l’aveva strutto per tutta la vita. Non era mai stato felice! Biaggio si porta alla bocca la tazza con le ultime gocce di tè. La tazza di argilla gli scivola di mano e si infrange al suolo…
Questa storia è liberamente inventata, tuttavia riprende gli eventi che si sono svolti a Triora, una piccola città dell’entroterra ligure, negli anni 1587 e 1588.
Il ricordo delle spaventose persecuzioni
delle cosiddette streghe viene oggi conservato nell’interessantissimo “Museo Regionale Etnografico e della Stregoneria”.